Sentenze

Corte Appello Firenze 698/2019

Licenziamento della lavoratrice madre da parte di un fallimento: l’eccezione al divieto di licenziamento per cessazione di attività non si estende alla cessazione dell’attività di un singolo ramo d’azienda, se un’altra articolazione aziendale non è cessata (anche ove i rapporti di lavoro siano sospesi in vista di una cessione a terzi del ramo). La Corte d’appello conferma la nullità del licenziamento intimato ad una lavoratrice prima del compimento di un anno di età del figlio, nell’ambito di un licenziamento collettivo che aveva interessato il ramo d’azienda al quale la stessa era addetta. Ribaditi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, per cui la deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice madre in caso di cessazione dell’attività aziendale non può trovare applicazione alla cessazione del singolo ramo, ancorché autonomo, vengono respinte le difese della procedura che affermava non essere proseguita l’attività aziendale: infatti, al momento del licenziamento non solo non erano iniziate le operazioni liquidatorie, ma almeno per un ramo d’azienda erano in corso attività conservative con rapporti di lavoro erano attivi, pur se sospesi, in vista della cessione a terzi

 Tribunale di Firenze, 13 luglio 2017 (decreto)

Sono da considerare crediti privilegiati, ai fini della procedura fallimentare, anche le somme dovute a titolo di risarcimento del danno subito per molestie sessuali e discriminazione.
Una lavoratrice, dopo aver ottenuto in sede giudiziaria il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico e non patrimoniale da discriminazione ex art. 38 d.lgs. 198/06, per essere stata vittima di molestie sessuali in azienda, ha dovuto chiedere tali somme nella procedura concorsuale dell’impresa, nel frattempo fallita. Il credito viene però ammesso solo come chirografario. Il Giudice di Firenze accoglie l’opposizione della ricorrente, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata dell’art. 2751 bis c.c.: non può esserci differenza di trattamento tra il credito derivante da infortunio o da demansionamento, e quello derivante da una lesione dolosa della dignità del dipendente.
 

Fonte: wikilabour.it

 

Tribunale ordinario di Firenze, Sentenza n. 212/2016 del 4/03/2016

 

 Il Tribunale di Firenze accoglieva il ricorso presentato da una lavoratrice, dirigente d’azienda, che aveva impugnato il licenziamento subito da parte della società datrice di lavoro, ritenendolo illegittimo e ingiustificato.

 

Il giudice, innanzi tutto, respingeva l’eccezione preliminare proposta dall’azienda convenuta, circa la inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 22 CCNL Dirigenti d’Industria, che prevedeva, nel testo all’epoca vigente, il mancato pagamento dell’indennità supplementare ove il licenziamento avesse riguardato donne dirigenti ultrasessantenni ed uomini ultrasessantacinquenni.

 

Il Tribunale richiamava due sentenze della Corte Costituzionale (137/1986 e 498/1988) con le quali veniva stabilito il principio secondo cui la donna non è licenziabile senza giustificato motivo prima del compimento della stessa età pensionabile stabilità per l’uomo. In caso contrario, si verificherebbe una discriminazione di genere a danno delle donne lavoratrici sulla base dell’età.

 

Nel valutare la illegittimità del licenziamento giustificato con la soppressione del posto di lavoro, il giudice di primo grado, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 3121/2015, ha stabilito che è necessario verificare la veridicità della motivazione, pertanto che effettivamente sia stato soppresso il posto di lavoro della ricorrente e che quindi nell’azienda non vi sia più “… una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile …”, e infine che la società abbia agito nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., con onere probatorio a carico del datore di lavoro.

 

Accertava inoltre che la ricorrente aveva subito da parte della società datrice di lavoro un comportamento di emarginazione e depauperamento delle proprie competenze professionali e pertanto accoglieva la domanda di risarcimento del danno, in forza della lesione di diritti fondamentali della personalità di cui all’art. 2 della Costituzione.

 

Sentenza n. 635/2016

Tribunale di Firenze, 6 luglio 2016

 

 Il Tribunale di Firenze si esprime in senso favorevole al lavoratore sul tema della decorrenza dei termini per

l’accesso al Fondo di garanzia dell’INPS, nel caso di datore di lavoro escluso dal fallimento.

Il termine di un anno per la presentazione del ricorso giudiziario volto al recupero del Tfr dall’INPS, decorre dallo scadere dei 240 giorni utili per il completamento del procedimento amministrativo, e non dal minore periodo di 180 giorni, come sostenuto dall’Ente. Per quanto riguarda invece la garanzia delle ultime tre mensilità di retribuzione, il periodo a ritroso di 12 mesi previsto dalla legge deve calcolarsi, nel caso di datore di lavoro non soggetto a fallimento, non dalla data di inizio dell’esecuzione forzata, ma dalla data del primo atto con cui il lavoratore ha attivato la tutela giudiziaria del proprio credito.

 

 

 

Sentenza del 20/4/2016

Tribunale di Firenze, 20 aprile 2016

Una pronuncia esemplare in materia di molestie sessuali sul lavoro: riconosciuti il danno biologico e il danno non patrimoniale da discriminazione alla lavoratrice.

Nel caso in esame, una lavoratrice si era dimessa per giusta causa in seguito a episodi continui di molestie sessuali subite da parte del padre della rappresentante legale dell’azienda presso cui lavorava, e culminati in un tentativo di aggressione. Il giudice, dopo aver accertato i fatti, riconosce la violazione dell’obbligo di protezione ex art. 2087 c.c., per assenza di misure di prevenzione, consistita nell’atteggiamento di connivenza verso il soggetto responsabile delle molestie, così come la natura discriminatoria delle gravi condotte subite. Viene dunque ordinato il pagamento del risarcimento del danno biologico (per inabilità temporanea e permanente), e del danno non patrimoniale da discriminazione in ragione del sesso (la cui quantificazione considera sia la finalità di ristoro sia la finalità dissuasiva), nonché dell’indennità sostitutiva del preavviso per effetto della giusta causa di dimissioni.

 

Sentenza n. 280/2014

Corte di Appello di Firenze, 11 marzo 2014

La Corte di Appello di Firenze, sezione lavoro, respinge l'appello proposto da una società, datrice di lavoro, contro la sentenza di primo grado emessa da Tribunale di Firenze con la quale veniva dichiarata la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice ricorrente. Il giudice di prime cure aveva accertato la natura discriminatoria del recesso, in quanto reazione ad una richiesta della lavoratrice di essere tutelata da condotte sessualmente moleste messe in atto dal superiore gerarchico ed aveva condannato la società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno ex art. 18, l. 300/1970, nonchè al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 38 d.lgs. 198/2006.

 

Sentenza n. 437/2015

 

Corte d’Appello di Firenze, 2 luglio 2015

 

La Corte d’Appello di Firenze ha deciso in favore della lavoratrice-madre che, a suo tempo sostenuta dall’intervento adesivo della Consigliera di parità regionale della Toscana, ha impugnato la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze, la quale aveva negato il carattere di discriminazione di genere del comportamento tenuto da parte della superiore gerarchica nell’occasione di rientro della lavoratrice al posto di lavoro dopo un periodo di congedo per maternità. La Corte dunque ha condannato, a norma degli artt. 2087 c.c. e 38 del d.lgs. n. 196/2006, in solido alla superiore gerarchica, la società datrice di lavoro al risarcimento del danno per la discriminazione subito dalla lavoratrice nonché al pagamento delle spese legali di tutti i gradi del giudizio.

 

Sentenza n. 792/2016

Corte d’Appello di Firenze, 20 ottobre 2016

Riformando la sentenza n. 756/2015 del Tribunale di Firenze, sezione lavoro, che aveva respinto l’impugnazione giudiziale del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore appellante ed aveva riconosciuto la scelta del lavoratore da licenziare sorretta da prevalenti ragioni oggettive, connesse alle esigenze funzionali e produttive dell’azienda, la Corte d’Appello riconosce la violazione, da parte della società, datrice di lavoro, del dovere di correttezza e buona fede ex artt. 1175 c.c. e 3 l. 604/’66. In particolare ritiene che il licenziamento non fosse sorretto da una oggettiva giustificazione, risultando dunque la scelta del lavoratore da licenziare una mera preferenza soggettiva, del tutto estranea all’ambito della funzionalità operativa dell’azienda e irrispettosa dei criteri dell’anzianità lavorativa e del maggiore carico familiare dell’appellante. La Corte conseguentemente dichiara l’illegittimità del licenziamento e condanna l’appellata società al risarcimento del danno oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

 

Tribunale di Firenze, Sezione Lavoro, sentenza n. 143/2014 e Corte d’Appello di Firenze, sentenza n. 186/2015

La Corte d’Appello di Firenze conferma la sentenza pronunciata in primo grado, che dichiarava discriminatorio ex art. 25 D. L.vo n. 198/2006 il trattamento economico applicato  da parte dell’INAIL nei confronti di una lavoratrice, assistente di volo, durante l’astensione per maternità della stessa. Precisamente il motivo del contendere consisteva nella misura dell’indennità di volo che doveva essere percepita dalla lavoratrice per detto periodo.  Tale indennità  venne calcolata, prima dall’INAIL e poi dall’INPS, con l’applicazione dei parametri di determinazione della retribuzione imponibile ai fini fiscali (ai sensi degli artt. 51 TUIR e 27 DPR n. 797/’55), corrispondendo così soltanto al 50% del suo intero ammontare. Questa interpretazione viene respinta sia in primo grado che in appello in quanto tradurrebbe la condizione di gravidanza ovvero maternità in una ingiustificata penalizzazione.

Tribunale di Pistoia, sent. 177/2012; Corte d'Appello di Firenze, sent. 968/2013; Corte di Cassazione, sezione lavoro, sent. 23286/2016

Tribunale di Pistoia, 8 settembre 2012 , n. 177 -  Corte d’Appello di Firenze, 24 ottobre 2013, n. 968  -  Cassazione, sezione lavoro, 15 novembre 2016, n. 23286

Nella presente causa, protrattasi fino in Cassazione, si confrontavano  due lavoratrici, formalmente inquadrate l’una come apprendista e l’altra come collaboratrice occasionale, con l’intervento ad adiuvandum della Consigliera di Parità della Regione Toscana, con il legale rappresentante della società datrice di lavoro accusato di aver messo in atto plurime molestie sessuali nei confronti delle due lavoratrici ricorrenti, cui era conseguito per una di esse il  licenziamento per giusta causa e per l’altra le dimissioni.

In primo luogo il Tribunale di Pistoia accertava la natura di lavoro subordinato a tempo indeterminato di entrambi i rapporti intercorrenti inter partes e condannava la società datrice di lavoro al pagamento delle rispettive differenze retributive.

In secondo luogo dichiarava nullo il licenziamento intimato ad una delle lavoratrici perché discriminatorio e riferibile ad un motivo illecito determinante (ritorsione dovuta al rifiuto della lavoratrice di sottostare a predette molestie sessuali) e per l'effetto condannava la società convenuta a reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro ed a risarcirla del danno derivante dall'illegittimità del recesso.

 

In terzo luogo condannava il legale rappresentante in solido alla società datrice di lavoro al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dalle lavoratrici a causa delle condotte discriminatorie ex art. 26, d.lgs. 198/06, nella misura di euro 40.000,00 per la lavoratrice dimissionaria ed euro 25.000,00 per la lavoratrice ingiustamente licenziata.

 

Il Tribunale, infine, decideva anche a favore della Consigliera di Parità della Regione Toscana, la quale  a sua volta, ritenendo che le molestie sessuali in questione dovessero essere qualificate come discriminazioni dirette di genere, chiedeva la condanna della società e del suo legale rappresentante in solido al risarcimento del danno non patrimoniale a proprio favore, in base all’art. 37 del decreto legislativo 198/2006, riconoscendo detto risarcimento nella misura di euro 25.000,00 nonché ordinando la definizione di un piano di rimozione delle discriminazioni.

I ricorsi in appello e per Cassazione promossi dal legale rappresentante della società venivano entrambi respinti e le sentenze nei vari gradi confermate.

La Corte di Cassazione nella sua sentenza prendeva posizione sulla questione che riguardava l’applicabilità o meno dell’inversione parziale dell’onere della prova ex art. 40, d.lgs. 198/06 anche alle molestie sessuali. La Corte infatti ritiene che anche in questo caso le molestie devono essere assimilate alle discriminazioni di genere e dunque suscettibili di applicazione dell’inversione parziale dell’onere della prova.

La sentenza di primo grado del Tribunale di Pistoia è pubblicata in:  Riv. It. Dir. Lav. 2013, II, pp. 25 ss, con nota di Riccardo Del Punta: “Un caso esemplare di molestie sessuali sul lavoro”.

La sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Firenze è pubblicata in: Riv. Dir. Lav. Prev. Soc. 2014, II, pp. 624 ss., con nota di Daniela Izzi: “Molestie sessuali e danni non patrimoniali con funzione dissuasiva”.

 

 

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